
La Torre di Valderio, che prendeva il nome dai suoi proprietari, era anche chiamata Torre dei Valdurii. Si trovava vicino a Cuneo, in regione Vilasco, accanto a dove oggi c’è un grande centro commerciale, sulla strada per Beinette. La Torre non distava nemmeno un’ora di cammino da Tetti Pesio; la grangia certosina da cui Frate Ugo Maria Cumino, il 18 novembre 1802 (dopo l’apposizione dei sigilli al monastero), scriveva di: “tragiche storie della nostra Certosa”. (CARTEGGIO Cumino-Balbis).
Da quel che è noto, il primo proprietario della torre fu Giacomo di Valderio, che la ebbe fino al 7 settembre 1391, quando venne rogato lo strumento dal notaio di Cuneo Giacomo Sardonello, con cui il figlio Percivallo di Valderio la vendette al giurista di Cuneo Pietro Cogle. Che, a sua volta, non avendo prole, la lasciò in eredità al suo segretario e amanuense Pietro Soest di Colonia.
Ma le vicende de l’altissima turris non erano che all’inizio di un’intrigata serie di passaggi di proprietà e di gravi avvenimenti a essa legati. Il nuovo possessore tedesco era debitore della vedova di Pietro Cogle – la signora Salvagia –, così le cedette i diritti di proprietà. Ma, il 30 giugno 1425, parte di questa tornò a Pietro Soest (certam partem dicte turris), pagando 400 fiorini di piccolo peso. L’anno seguente, il 6 novembre, la signora Salvagia vendette per 900 lire astesi anche la parte rimanente della torre ad Antonio Del Pozzo, di Alessandria. Mentre restava la porzione del tedesco Soet, che venne venduta ad Antonio e Paganino Del Pozzo per 500 lire astesi.

A questo punto della vicenda, Paganino Del Pozzo acquistò anche altre terre nei dintorni, compresi i diritti dell’acqua, al prezzo di 797 lire astesi. Ma circa otto anni dopo, avendo un debito nei confronti di Guglielmo Malopera e dei suoi nipoti, di 2500 fiorini, con lo strumento notarile del 28 settembre 1434, cedette la Torre di Valderio con i suoi edifici, fossati, prati, bealere, acquedotti, terreni ecc.. Anche se tra questi non era compresa la Torre Mombonine con le sue pertinenze, né le ragioni spettanti alla venerabile suora Salvagia. Che, nel frattempo, aveva preso i voti monacali in Santa Chiara, a Cuneo. Quando, poi, il 17 giugno 1435 cedette a Guglielmo Malopera il credito che aveva verso Paganino Del Pozzo, a sua volta questi vendette tutti i diritti relativi alla Grangia Turris et pertinentiis eiusdem, al certosino Padre Don Emanuele dei Conti di Tenda, Priore del monastero di Pesio, per 2900 fiorini di Savoia.
È bene precisare che i monaci della Certosa di Pesio, entro la prima metà del XV secolo accrebbero i loro possedimenti acquistando proprietà attigue alla torre, per un valore di 1500 fiorini. E ne devolsero altri 1000 in edifici e 1500 per migliorare le bealere, la chiusa di presa e le bocche di distribuzione irrigue. Per una somma totale di quasi 7000 fiorini, spesi per la Grangia della Torre. Talvolta anche indicata come Fortilicium.
Per raggiungere le somme necessarie all’acquisto di tale proprietà, i certosini di Santa Maria di Pesio avevano dovuto vendere una loro Grangia di Airole (presso Taggia), dei prati e delle case vicine al Castello, e la Grangia di Beinette al Conte di Tenda.

Non guasta ricordare che quelli erano gli anni in cui nel monastero di Pesio era presente il beato Antonio le Cocq (Avigliana, 1390 – Certosa di Pesio, 22 marzo 1458). Uomo di grande levatura religiosa e consigliere spirituale di nobili, la cui notorietà proseguì anche dopo la morte. (GALLIZIA, 1737)
Ebbene, tornando alla Torre, questa proprietà certosina perdurò per 34 anni, ovvero fino al 1469. Anche se, in realtà, non era ben chiaro se nel contratto vi fosse riservato il diritto di riscatto da parte di Padre Emanuele. Ma erano, comunque, intercorsi oltre trent’anni di pacifico possesso dei monaci. E, ora, Giorgino Del pozzo, figlio di Paganino, ripudiata l’eredità paterna, accampava diritti sulla dote della madre e faceva leva sulla sua parentela con Antonio Giacomo Del Pozzo, segretario ducale e uomo di grande autorità. Riuscì, così, ad ottenere delle lettere per Pietro di Orly, Vicario in Cuneo e scudiere ducale, che lo autorizzavano a dichiararlo possessore di quella proprietà. Senza interpellare le ragioni dei certosini.

Il 21 luglio 1469 Giorgino Del Pozzo occupava, “improvvisamente e violentemente”, la Grangia della Torre con il Vicario ducale, con Bartolomeo Servagna, Raffaello Lovera, Giovan Francesco Rebaccini, Antonio di Acceglio, suo genero Antonio Neironi e con una squadra di uomini armati. Maltrattando i monaci e “impadronendosi di vettovaglie e valori mobili”. Insomma, si comportò come se fosse il legittimo proprietario sia della grangia già acquistata e poi rivenduta da suo padre, ma anche di tutte le altre pertinenze pervenute ai monaci con i loro successivi acquisti.
La violenta azione di Giorgino Del Pozzo suscitò un tale clamore che il cronista Crivolo scrisse: “factum est magnum diabolum in Monasterium”. E l’anno successivo il duca Amedeo riconobbe il pieno diritto dei monaci, con una decisione emanata dal suo Consiglio e confermata in appello, ordinando che si dovesse restituire l’intera proprietà ai certosini. Ma, appena emanato l’ordine, il duca morì e le sue disposizioni non ebbero effetto. La vedova di questi, la duchessa Jolante, scrisse a sua volta lettere che ordinavano la restituzione ai certosini ma, anche queste, non ebbero efficacia. Soprattutto perché Giorgino Del Pozzo aveva numerosi legami politici e informatori che lo avvisavano con anticipo di ogni mossa dei monaci.

Il Caranti lo descrive come “audace, fine, intrigante, poco scrupoloso sui mezzi”. Insomma, uno che “si serve di tutte le sue relazioni, e queste sono estesissime”. Inoltre, inizialmente, ebbe dalla sua anche il signore di Aix e maresciallo di Savoia, Claudio di Seyssel. Ma sorprendenti cronache del tempo sostengono che questi, in seguito, si fosse fatto francescano e, morto con il rimorso di aver danneggiato i certosini, miracolosamente resuscitò, pregando i propri nipoti di riparare il male che aveva commesso. Eppure la curiosa vicenda post mortem non ebbe l’effetto desiderato e i nipoti del Seyssel non si preoccuparono di difendere i figli di San Bruno.
Ora i certosini si trovavano costretti a vendere i loro possedimenti ereditati da Giorgino Brayda di Mondovì, al Banco di San Giorgio a Genova. Ma la vicenda non terminò con facilità.
Quando il Padre Priore della Certosa, Domenico De Tricoli, cercò udienza presso la duchessa Jolante, a Vercelli, Giorgino impedì che venisse ricevuto e, soprattutto, lo circuì di persone che con sgarbi e minacce lo indussero a una transazione. Ma quest’ultima non venne approvata né dal Capitolo della Certosa di Pesio, né, tantomeno, da quello Generale dell’Ordine, che, anzi, dichiarò nulla la transazione. E il Padre Priore venne revocato dal suo incarico.

Questo è, probabilmente, uno degli episodi relativi ai possedimenti della domus di Pesio che ebbe maggiori implicazioni legate a discordie civili, e che coinvolse numerose personalità dell’epoca, sia laiche che ecclesiastiche. Il Del Pozzo, infatti, era anche imparentato con un Cardinale molto vicino al pontefice, dal quale riuscì a far emettere una Bolla papale che approvava la precedente transazione fatta. Tuttavia, in quegli anni anche la Certosa di Pesio aveva un protettore: un figlio del re di Napoli Ferrante d’Aragona, il Cardinale Giovanni d’Aragona, che portò le loro lamentele e le loro ragioni nel pieno di un concistoro. Tanto che il Papa, informato di come stavano veramente le cose, revocò la precedente Bolla.
Ciò nonostante, Giorgino Del Pozzo continuava a disporre della torre, finché, il 27 febbraio 1475, la Sacra Rota di Roma pronunciò una lunga serie di sentenze di condanna contro di lui e i suoi complici, che sei anni prima avevano violentemente occupato la medesima. Venne loro imposto di restituirla con tutti i frutti decorsi e i beni mobili esportati, oltre ad essere scomunicati tutti quelli che avrebbero dato aiuto o consiglio, occulto o palese, al Del Pozzo.

Ma il rancore di Giorgino non si arrestò. Fece fortificare la torre e radunò bande di armati per devastare la vicina Grangia di Tetti Peso, rovinandone la chiesa (che verrà, poi, ricostruita il secolo successivo, con la cappella dedicata a San Grato), e ogni altra proprietà dei monaci. Trovato, quindi, il Padre Procuratore della Certosa, lo prese a pugni e gli tolse la mula. E, sorpreso il censore che pubblicava la bolla, lo lasciò quasi morto dalle percosse. Non contento, fomentò una banda con la quale entrò in Peveragno, dove nessuno osò resistergli, e si impadronì di una mandria di oltre cento maiali, che era di proprietà dei certosini.
Il suo astio verso i monaci bianchi raggiunse l’apice tentando di invadere, addirittura, il monastero della Valle Pesio. Ma i certosini – avvisati – riuscirono a fuggire. Tanto che egli trovò solo un vecchio monaco converso e, quando incontrò per la via il Padre Procuratore della Certosa, Antonio Caffanza, lo aggredì con due colpi di spada, lasciandolo come morto.

Quella di Giorgino Del Pozzo fu una vera congiura contro i certosini. Altre persone istigate si unirono a lui e, in breve, si impadronirono della cospicua grangia di Tetti Pesio e dei suoi beni. Chiusero i fossi irrigui che destinavano l’acqua ai terreni dei monaci, e la deviarono verso i propri.
E, dato che la violenza pareva avere la meglio, Giorgino incluse nelle sue mire anche i certosini di Casotto, assaltandone la Grangia di Consovero (Consaveria). Ma a difesa di quest’ultima accorsero, presto, gli abitanti di Mondovì e, finalmente, il Del Pozzo fu costretto a ritirarsi.
Il protagonista di queste gravi vicende sembrava avere sempre potenti protezioni. Suo fautore fu anche il Vescovo di Ginevra, Giovanni Luigi di Savoia, figlio ottavogenito del Duca Ludovico di Savoia. E, anche quando venne condannato dalla Sacra Rota di Roma, le sentenze non vennero eseguite. Le cronache certosine parlano di lui come di “un uomo senza fede, né legge, maledictus, execrabilis Deo et angelis, che si spinse fino ad ammazzare pubblicamente i suoi nemici e a istigare il Consiglio del Comune di Cuneo, di cui faceva parte, per rivendicare i suoi terreni, che riteneva usurpati dai certosini di Pesio.

La triste vicenda sembrò volgere verso il termine il 4 luglio 1480, quando il Duca Filiberto incaricò il luogotenente generale del Piemonte, il conte de La Chambre, di restituire la Torre di Valderio ai certosini. In quell’occasione fu presente il vescovo di Albenga, Leonardo Marchese, appositamente inviato dal re di Francia, e non venne fatta alcuna resistenza. Tuttavia, secondo le cronache di Cuneo, pare si arrivò, invece, alle armi. Nell’autunno di quell’anno, poi, i certosini presentarono “l’esposizione delle violenze patite” dal Del Pozzo e aggiunsero che, per evitarsi il martirio, “gli avevano concessero l’assoluzione delle censure ecclesiastiche, pur non essendo nelle loro facoltà”. Questa, fatta sotto minaccia di morte, naturalmente non aveva alcun valore.
Sul finire dell’anno 1480, poi, due ambasciatori cuneesi, Matteo D’Andrea e Claudio Malopera, si recarono a Chambery per ottenere la cassazione dei processi e il ristabilimento della concordia. Ma Giacomo Antonio Del Pozzo, alla notizia di far restituire la torre ai monaci, andò alla Corte per impedirgliene gli effetti. E, una volta a Torino, dopo uno strano episodio in cui fu detenuto e rilascio col pagamento di un riscatto di 1000 scudi, venne raggiunto da Giorgino. Che, nel frattempo, era esule a Dronero. A seguito di quell’incontro, occupò ancora la torre e si impadronì anche del bestiame che si trovava nella grangia, di proprietà di alcuni cuneesi. Innalzò il vessillo del Vescovo di Ginevra e proseguì con pretese e minacce che neppure il Vicario del luogo riuscì a scongiurare.

Fu, in ultimo, Goffredo di Strambino, su incarico dei Savoia, informati dei fatti, a far restituire, per l’ennesima volta, la torre ai certosini. Ma non sembrava esserci pace. Questa venne nuovamente espugnata e, ormai senza speranza, i monaci dovettero rinunciare definitivamente a quel luogo. Ricevendo, in compenso, i beni confiscati a Giorgino Del Pozzo, come ribelle.
I fatti, riportati soprattutto dalle cronache certosine, tralasciano, a questo punto, le successive vicende che si connettono alla città di Cuneo e al conte de La Chambre. Sorvolandole, si giunge agli ultimi due passaggi: il 7 febbraio 1482 Giorgino riacquista l’area su cui sorgeva la torre. E, grazie al vicario di Cuneo Paoletto Vagnone, il 3 agosto 1482, con “il suggello del bacio del perdono e di amicizia”, in presenza del vescovo di Mondovì Antonio Fieschi, terminano le discordie tra il Del Pozzo e i certosini, con una transazione. Questa prevedeva la restituzione dell’intera Grangia della Torre ai monaci di Pesio, a fronte di un loro versamento di 1200 fiorini, per compensarlo. Tre anni dopo, l’accordo ebbe pieno effetto. E nel 1491 venne ancora ratificato dalle autorità ecclesiastiche e sancito da una quietanza finale di Giorgino.
Si chiudeva, così, la vicenda durata circa vent’anni di gravi contese, tra il Del Pozzo e i monaci della Certosa di Pesio.
> (La cronaca è tratta, principalmente, dal decimo capitolo de La Certosa di Pesio. B. CARANTI, 1900)
Manola Plafoni
Questo articolo è pubblicato sul n. 45 / giugno 2024 della Rivista storica “Chiusa Antica”
